A Lina,
Marco, Andrea e Irene
Mercoledì 12 Agosto 2015, presso la sua residenza leccese, ci ha lasciato il Prof. Cosimo Pagliara. In tanti hanno espresso un messaggio di cordoglio alla famiglia dell’illustre docente salentino, e sono giunte anche le parole del rettore dell’ateneo leccese, Prof. Vincenzo Zara: “È scomparso purtroppo il Professor Cosimo Pagliara, tra i fondatori del Dipartimento e della Facoltà di Beni culturali della nostra Università. Fu promotore di numerose rilevanti iniziative di ricerca, tra le quali la scoperta della Grotta della Poesia a Roca Vecchia e la scoperta e lo scavo del sito protostorico di Roca, di cui ha diretto per molti anni le indagini archeologiche. L’Università e il territorio devono molto a questo collega docente e abile e appassionato ricercatore, che seppe lavorare collegando proficuamente le strutture accademiche e quelle di altri enti territoriali e di ricerca”.
Io ero profondamente legato all’amico “Mimmo”, che ho conosciuto nel lontano 1964, quando avevo 12 anni! Tantissimi sono i ricordi, che comincio a pubblicare su questo sito. Ciao Mimmo…
Lecce, 12 Agosto 2015
Ing. Gianni Carluccio
Purtroppo è l’ultima foto con il caro Mimmo, fatta nel giorno di una sua importante Relazione al Convegno “Roca nel Mediterraneo, l’età delle prime navigazioni commerciali”, tenuto presso il Castello di Acaya, dove era anche presente la stupenda Mostra: “Roca nel Mediterraneo” (6 Luglio 2013).
* Tutte le immagini appartengono all’Archivio dell’Ing. Gianni Carluccio e ne è vietato l’utilizzo senza il consenso dell’Autore.
Questo lavoro, dedicato oltre che ai familiari a tutte le persone che hanno saputo voler bene a Mimmo, si compone di circa 450 immagini! Se ne sconsiglia la visione alle persone frettolose. Chi avrà la pazienza di fruire di tutte immagini, capirà alla fine del racconto il perché del titolo “Poesia di un culto antico”…
Buona visione, ciao Mimmo !
RICORDI…
Il Prof. Cosimo Pagliara, poi diventato il caro amico “Mimmo”, mi venne presentato alla metà degli anni ’60 (avevo 13 anni e frequentavo il primo Liceo Scientifico al “De Giorgi” di Lecce) dal Sig. Maurizio Torsello di Alessano, che abitava nel mio stesso palazzo, in Via G. D’annunzio 79 a Lecce. Avevamo in comune con il compianto Sig. Torsello (molto più grande di me ed amico di Domenico Modugno, quando “Mimino” viveva ad Alessano) la passione per l’archeologia e, conoscendo le mie origini vastesi (mio padre, suo amico, nasceva a Vaste 100 anni fa…), volle presentarmi il Prof. Pagliara, che venne a trovarmi a casa mia e che per me, da allora, divenne un grande Maestro di “questioni” archeologiche… Il Prof. Pagliara mi parlò subito degli scavi a Cavallino, che si effettuavano in quegli anni e dell’importante e affascinante zona archeologica di Rudiae, dove si erano svolti degli scavi, pochi anni prima. E fu così gentile da introdurmi in quel mondo affascinante dell’archeologia, che da allora mi ha visto sempre più coinvolto, anche in ambito Universitario ed internazionale.
Tra l’altro il mio “grande” Professore del Liceo, Gianni Schilardi, era un caro amico di Mimmo e mi piace cominciare proprio con qualche foto fatta nella prima metà degli anni ’60, tratta dal suo prezioso Archivio, che ha voluto gentilmente concedermi. Il Prof. Schilardi, il caro Gianni che oggi mi onora della sua amicizia, ha avuto tra l’altro il grande merito di pubblicare con la sua prestigiosa Casa Editrice “Argo” il volume “Tito Schipa” di Tito Schipa Jr., da me curato.
VASTE 1967
Nel 1967, sotto la Direzione della Dott.ssa Elena Lattanzi, Soprintendente Archeologico della Puglia, il Prof. Pagliara effettua dei saggi di scavo a Vaste tra i fondi Pozzo e Pirazzo, dove fu individuato un tratto delle Mura Messapiche, risalenti al IV-III sec. a.C. e nel fondo Lucernara (dove verranno in seguito identificati i resti messapici di un’abitazione contadina). Grande fu la mia gioia quando il Professore mi comunicò la notizia, portandomi sui luoghi delle importanti scoperte. Vi lascio immaginare quali emozioni suscitarono quei sopralluoghi guidati nella testa e nella fantasia di un ragazzino appena quindicenne. Ricordo che mi misi già allora a lavorare su un’ipotesi di ricostruzione delle Mura Messapiche di Vaste, utilizzando, su suggerimento del Prof. Pagliara, la carta topografica del territorio di Poggiardo-Vaste edita dall’Istituto Geografico Militare Italiano. Qualche anno dopo avrei elaborato la Carta Archeologica di Vaste, pubblicata nella collana Studi di Antichità dell’Università di Lecce (1981).
A partire dal 1967, invogliato dal Prof. Pagliara, cominciai a fare delle ricerche, durante l’estate, quando mi recavo con la famiglia a trascorrere le vacanze in quel luogo incantevole che è Vaste, interrogando gli anziani del posto. Fu così che mi fu possibile riconoscere, nel giardino di un’abitazione in Via Principessa Maria Josè (vicino casa mia), alcune iscrizioni incise nella pietra leccese, una delle quali particolarmente importante, perché era la prima iscrizione latina proveniente da Vaste, come poi scrisse il Prof. Pagliara in suo suo magistrale articolo dal titolo “Fonti epigrafiche per la storia di Vaste”, edito nell’ambito di due Volumi di Studi in Onore di Mario Marti (Congedo Editore, Galatina 1981).
Di un’altra interessante iscrizione, che sto per pubblicare in un Volume voluto da Università del Salento e Comune di Poggiardo, negli anni ’60 trassi l’apografo e proprio quest’anno, grazie all’aiuto del caro amico Prof. Mario De Marco, sono riuscito finalmente a tradurre del tutto dal latino (si tratta di un’iscrizione degli anni ’40 del ‘600, che fu trovata durante alcuni lavori edili presso la sala parrocchiale della Chiesa Madre di Vaste e riferibile al feudatario Diego Acquaviva d’Aragona. Sempre nella stessa sala parrocchiale viene conservata, nell’ambito del paramento esterno di una torre del Palazzo Baronale, un’importantissima iscrizione bizantina, ritrovata nello stesso periodo dal Parroco del paesino, il compianto Don Luigi Rausa e riconosciuta dal Prof. Pagliara che interessò, perché la studiasse, il Prof. A. Jacob.
* Questa tavola inserita nell’ambito del lavoro del Prof. Pagliara, risulta particolarmente importante in quando su due diverse iscrizioni (un’anfora panatenaica ed un rilievo in pietra leccese) si fa riferimento ad Atena. Questo particolare, giustamente sottolineato dallo studioso, si rivela oggi particolarmente importante alla luce dei recenti scavi, relativi al Santuario di Atena, condotti con grande successo dall’amico Prof. Francesco D’Andria nella vicina Castro (“Castrum Minervae”).
Un’anfora panatenaica conservata presso il Museo Nazionale di Taranto riporta, come di consueto, la stessa scritta ricopiata dall’Arciprete Corvaglia a Vaste (lettera “d”). Quest’anfora ripiena di olio veniva data ai vincitori dei giochi ateniesi, ai quali erano ammessi solo cittadini greci. Aver ritrovato un esemplare a Vaste significa o che un cittadino greco l’aveva portata a Vaste o che Vaste era considerata una città greca (in particolare forse colonia dei tarentini, come viene riportato in qualche fonte, ancora da attribuire in maniera specifica) e che un suo cittadino aveva vinto i prestigiosi giochi ateniesi !
Viaggio a Selinunte
Questa bella foto di gruppo è stata pubblicata (assieme ad una di quelle seguenti fatta a Porto Badisco) sul volume edito dalla Scuola nel 2010: 1980-2010, trent’anni di attività, Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici “Dinu Adamesteanu”. Il Prof. Dinu Adamesteanu (1913-2004), rumeno d’origine, è stato il padre della fotografia aerea in Italia ed ha lavorato molto sia in Basilicata che in Sicilia (a noi, suoi allievi, si aprirono tutte le porte dei musei siciliani; ricordo che nei sotterranei del Museo di Siracusa, tanta era la fiducia nei Colleghi e negli allievi del Prof. Adamesteanu, che ci lasciarono a contatto con tante monete d’oro che erano sui tavoli).
Festa in casa del Prof. Francesco D’Andria, divenuto Professore Ordinario. Oltre ai familiari sono presenti Colleghi e amici; il quarto da sin. è il Prof. Cosimo Pagliara, a fianco alla moglie Lina; al centro il Prof. Francesco D’Andria con a fianco il Prof. Dinu Adamesteanu; sulla destra l’allora Soprintendente Archeologico della Puglia, Prof. Ettore M. De Juliis, con a fianco il futuro Soprintendente Archeologico della Basilicata, Dott. Antonio De Siena. Sono presenti inoltre i Proff. Aldo Siciliano, Adriana Travaglini e Liliana Giardino e le Dott.sse Grazia Semeraro e Ida Blattmann (foto copyright Ing. Gianni Carluccio, 1986).
Il 7 Febbraio 1986, ore 19.35 va in onda su RAITRE nazionale l’ultima puntata del Programma “Sulle Orme degli Antenati” con la consulenza del Prof. Sabatino Moscati, allora Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, la massima autorità culturale in Italia. Nell’ambito della trasmissione viene proiettato il documentario, girato dal Regista Luigi Di Gianni, con la consulenza del Prof. Francesco D’Andria, dal titolo “I Messapi tra Grecia e Italia Meridionale”. Nell’ambito del documentario il Prof. Cosimo Pagliara illustra le scoperte relative alla Grotta della Poesia di Roca, mentre il Prof. D’Andria affida, “senza preavviso”…, all’Ing. Gianni Carluccio… il compito di illustrare l’Area Archeologica di Vaste (cosa che faccio con successo “in diretta”, davanti alla cinepresa, proiettando alcune mie diapositive, presso la Biblioteca dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Lecce).
TORRE SABEA
ALEZIO
I CENTRI ANTICHI MESSAPICI E ROMANI, UNIVERSITA’ DI LECCE 1985.
CAPO DI S. MARIA DI LEUCA
Grotta Porcinara
Nella baia di Leuca, nei pressi di Punta Ristola e sollevata rispetto al livello marino è collocata la Grotta Porcinara, composta da tre camere comunicanti, importante luogo di culto messapico e poi romano, destinato ad ospitare attestazioni di riconoscenza alle divinità da parte dei naviganti, con numerose tabelle iscritte in greco e latino sulle pareti (fine I sec. a.C. – prima metà III sec. d.C.).
Nell’ambiente centrale si menzionano Giove ed Afrodite (che forse è semplicemente il nome di un’imbarcazione), in quello occidentale la Fortuna, in quello orientale (in proprietà privata) sono presenti numerose croci cristiane. All’esterno della grotta vi sono i resti di un recinto sacro (eschara), oramai semidistrutto per lo stato di totale abbandono, che ha restituito materiali a partire dal VIII sec. a.C.
Una delle Tavole con la localizzazione delle tabelle iscritte, corredata dai miei appunti a matita. Si distinguono due ambienti della grotta: l’ambiente n. 3 a sin. (guardando dal mare) e il 2 al centro; l’ambiente 1 (che non era l’ambiente principale della grotta) è in proprietà privata; Cosimo De Giorgi riporta un’iscrizione identificata all’interno: “I.O.M. / DOMITILLA” (copyright Ing. Gianni Carluccio).
* Nell’ambito della Grotta Porcinara sono presenti 27 tabelle e 2 iscrizioni su parete, tutte da me schedate fotograficamente. In 16 tabelle si leggono testi o tracce di testo (7 tabelle sono vuote, 4 hanno tracce di scrittura, non identificabile); 3 tabelle si sovrappongono a tabelle precedenti; abbiamo in totale 11 testimonianze in lingua greca a 6 in lingua latina. Nella Grotta Porcinara si fa riferimento a tre divinità: a Iuppiter Batius (4 attestazioni), a Ino Leucotea (divinità femminile, protettrice dei naviganti in pericolo) ed alla Fortuna. Batas è un’epiclesi di Iuppiter o il nome di divinità indigena assimilabile in seguito a Iuppiter. Iuppiter Batius è quindi da intendere come divinità che proteggeva la navigazione tra le due sponde del canale d’Otranto o in generale l’andar per mare, giustificandosi in tal modo le richieste d’aiuto, i ringraziamenti, i voti e gli auguri di buona navigazione presenti sulle pareti della Grotta Porcinara, che si caratterizza, dunque, come luogo di sosta per natanti impiegati su rotte che avevano termine in porti lontani e testimonia consuetudini culturali proprie dei naviganti. La datazione dei graffiti va approssimativamente dal 50 a.C. al 250 d.C.
Grotta Porcinara, tabb. 4-5. Tabella 4 all’estrema destra del tratto A-B (ambiente 3), dim. 41×33 cm, scritta in latino su sei righe, su precedente iscrizione della quale resta traccia in basso di alcune lettere, una I e una M. La tab. 4 reca la seguente iscrizione con dedica a Giove Batio: “I(OVI) O(PTIMO) M(AXIMO) BATIO / M(ARCUS) LARTIDIUS .BUS. / NAUC(LERUS…) RIA(…) / AB… / .F…”. In questa iscrizione si parla di un esponente della “gens Lartidia”, Marco Lartidio, proveniente forse dalla Dalmazia con una nave commerciale, che fa voto per sé e per la propria nave.
Grotta Porcinara, tab. 6. Tabella ansata al centro della parete B-C, dim. 41×15 cm, scritta in greco su tre righe. Si riferisce probabilmente ad un viaggiatore proveniente dall’Asia (riferibile ad un periodo successivo al II sec. d.C.).
Grotta Porcinara, tab. 8 (a e b). Tabella ansata al centro della parete C-D, dim. 65×28 cm, con due iscrizioni sovrapposte: nella parte sottostante iscrizione in greco, poco leggibile su 4 linee, nella quale compare il nome della divinità femminile INO (Leucotea), protettrice dei naviganti in pericolo, alla quale si chiede di “giungere felicemente in porto sani e salvi”; nell’iscrizione più recente c’è la dedica ad un’altra divinità femminile, la Fortuna: “FORTUNA(E) / S(ACRUM) H(IC) F(ACTUM)“.
Grotta Porcinara, tabb. 14-15. Tabella sulla parete H-I, dim. cm 43×50 cm, scritta in latino su cinque righe con dedica a Giove Batio, riferibile ad un certo Lucio Valerio Sabino (il capo dell’equipaggio), che scioglie un voto: “I(.O.M. VA(TIO) / L(UCIUS). VALERI / US SABINU(S) / VOT(UM) SOL(VIT) / (C)UM PLER(OMATE)”. In alto vi è un simbolino che potrebbe essere associato a Giove. Il termine “pleroma” deriva dal greco e indica l’equipaggio. Più sotto si registra un’iscrizione su due righe in lingua greca
Grotta Porcinara, tab. 16. Grande tabella ansata al centro della parete H-I, dim. 76×36 cm, in latino su cinque righe ma mancante della parte inferiore. Questa iscrizione, non del tutto leggibile a causa del degrado della pietra sulla quale fu graffita, si riferisce, come la precedente, allo scioglimento di un voto.
Grotta Porcinara, tab. 17. Tabella nettamente incisa sulla parete, con grandi anse laterali, dim. 71×30 cm, in latino su sei righe (più in basso c’è traccia di una precedente iscrizione, forse in greco). Anche questa iscrizione, che è quella meglio conservata tra quelle che compaiono sulle pareti della grotta, viene dedicata a Giove Batio ed è riferibile ad un certo Caio Cordio Aquilino (capo dell’equipaggio), che scioglie un voto: “I.O.M. / C. CORDIUS AQUL / LINUS VOT(UM) SOL(VIT) / CUM PLEROMA(TE) / RHEDO(N)IS ET / ME(D)AUR(I)”. Nota il Prof. Pagliara che Caio Cordio Aquilino è il capo (nauclero) che scioglie il voto anche a nome dell’equipaggio, indicato con il termine “Pleroma”, che probabilmente si riferisce a navi da guerra (dovrebbe trattarsi di navi veloci, biremi dette “Liburnae”), mentre i nomi MEDAURUS e RHEDON si riferiscono a due navi onerarie impiegate nei traffici da e per l’Italia. Medaurus è il nome di una divinità indigena illirica, Rhedon il nome di monete coniate in Illiria, quindi i navigli appartenevano probabilmente a porti dell’Illiria meridionale.
Grotta Porcinara, tab. 23. Tabella ansata, dim. 45×25 cm, in lingua greca su quattro righe. In questa iscrizione il capo dell’equipaggio, il nauclero Epitteto esprime un voto di buona e felice navigazione sé e per la sua nave di nome “Afrodite” (“Afrodite” è il nome di una nave commerciale impegnata forse sulla rotta da Efeso per Brindisi o Taranto).
PATÙ CENTOPIETRE
Nei pressi della chiesetta intitolata alla Madonna di Vereto, su una collinetta nei dintorni di Patù, si estendeva il centro messapico e poi romano di “Veretum”, che aveva il suo approdo a mare ai piedi del promontorio di Torre S.Gregorio. Alla periferia del paese si può visitare una singolare costruzione formata da grandi monoliti calcarei che ha fatto parlare a lungo di sé: le Centopietre di Patù, descritta alla fine dell’800 dallo studioso francese Lenormant come “la merveille archéologique de la province de Lecce” ed attribuito ad epoche remotissime.
Si tratta invece di una singolare costruzione medioevale (in origine priva di porte di accesso), probabilmente di carattere sepolcrale, edificata riutilizzando alcuni elementi architettonici di un preesistente monumento funerario romano (l’Arditi pensava che fosse un edificio funebre del IX-X sec., eretto in onore di Geminiano, “santo campione dei Cristiani”, morto combattendo contro i Saraceni; il Prandi ad una sorta di “heroon” cristiano, a giudicare da alcune sepolture, peraltro non datate, che rinvenne al suo interno).
Nella struttura portante del monumento sono riutilizzate, infatti, alcune colonne e due architravi a fregio dorico, con triglifi e metope, di età repubblicana. Inoltre, un ulteriore elemento architettonico, recante incisa un’iscrizione latina (riconosciuta alcuni anni fa dal Prof. Cosimo Pagliara), è stato riutilizzato come architrave di una porta secondaria della prospiciente chiesa di S. Giovanni (VIII-X sec., ma forse di origine più antica). Mi piace ancora qui ricordare che un altro esempio di reimpiego di questi fregi dorici, derivanti da monumenti sepolcrali di età romana, è riconoscibile nella chiesetta di S. Pietro a Giuliano.
Infine, le tracce di affreschi che attualmente si notano all’interno delle Centopietre, testimoniano il suo ultimo riutilizzo, come luogo di culto cristiano, alla fine del XIV sec.
Libia, monumento funerario romano simile a quello che esisteva ai piedi della collina di “Veretum”, nei pressi dell’attuale “Centopietre”.
Così probabilmente si presentava in origine il monumento funerario situato nei pressi della città romana di Veretum. Nella foto sono riconoscibili vari elementi architettonici simili a quelli riutilizzati nel costruire la Chiesa di San Giovanni e le Centopietre (architravi, uno dei quali con iscrizione latina, colonne e cippo funerario con un’altra iscrizione latina).
* Ringrazio per questa immagine, ripresa in Libia, il Prof. Paul Arthur dell’Università del Salento, nonché Direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia della stessa Università.
TORRE DELL’ORSO
Grotta di San Cristoforo
Ancora più sotto, rispetto alla precedente tabella, si trova questa interessante iscrizione latina del III sec. d.C. con a fianco la ricostruzione della stessa: “Felicior Hispanus chiede al dio di poter in tutta sicurezza e senza timore mantenere la rotta nell’attraversare la bocca dello stretto”. Foto copyright Ing. Gianni Carluccio, ricostruzione del Prof. Cosimo Pagliara in “Humilis Italia”, 1983).
Un articolo del Prof. Pagliara dal titolo “EYPLOIA SOI” (“Buona navigazione a te”, pubblicato nell’ambito di un Volume celebrativo per i 70 anni del Prof. Giuseppe Nenci. Congedo Editore, Galatina 1994), chiarisce gli strani segni di escavazioni che si vedono all’interno della grotta. Questi scavi furono operati nel marzo del 1877 dal “muratore” leccese Santo Perrone, per conto del giudice Luigi De Simone, cultore di antichità salentine, che le fece portare nel suo personale museo ad Arnesano (Villa suburbana S. Antonio). Questa collezione archeologica confluì, dopo la morte del De Simone (1902), nel Museo Provinciale di Lecce, dove le lapidi sono inventariate con i nn. 52, 55 e 57. Il mio caro amico Prof. Mimmo Pagliara non era solito fare molte dediche; invece il 3 Agosto del 2007, quando stavo organizzando la sua presentazione per il Premio “Monolite d’Argento” a Giuggianello, mi fece dono inaspettato di questa preziosa pubblicazione con una dedica affettuosa che mi fa commuovere ogni volta che la leggo! Grazie, caro Mimmo, per quest’ultimo regalo che hai voluto farmi.
Sulla parete centrale della grotta, in alto, figura il nome del muratore Santo Perrone inciso nella roccia nel marzo del 1877, dopo aver asportato, per conto del giudice De Simone, una delle tre iscrizioni più vistose presenti nella grotta. Al di sopra del suo nome, gli “ultimi” visitatori tedeschi (che avevano impiantato la loro tenda all’interno della grotta !!!) hanno lasciato (per fortuna a matita) il segno del loro passaggio: “Die letzten trapper. 27/28 Novembre 2006”.
Una delle iscrizioni medioevali provenienti dalla Grotta di San Cristoforo (Coll. De Simone, 1877) inventariata con il n. 52 presso il Museo Castromediano di Lecce. Nella didascalia del Museo (erroneamente viene indicata la provenienza Roca) si legge: “Signore Gesù Cristo, Dio mio, che hai accolto benignamente il gemito del pubblicano e di me peccatore Basilio, con la potenza della tua onorabile croce, proteggi, custodisci e difendi il tuo servo”, XII sec.
Una delle iscrizioni medioevali proveniente dalla Grotta di San Cristoforo (Coll. De Simone, 1877) inventariata con il n. 55 presso il Museo Castromediano di Lecce. La didascalia (con scritto provenienza incerta, ma invece è certa…) recita: “La traduzione non è stata realizzata perché la scrittura correva di continuo su ambedue i lati della croce. Mancando la parte sinistra diventa incomprensibile quella destra. La lapide recava probabilmente una croce di metallo“, XII sec.
La trascrizione del Prof. Cosimo Pagliara (EYPLOIA SOI, 1994).
Nella struttura del testo si distinguono tre parti: quella iniziale è la dedica alla divinità da parte di un liberto, che accomuna nell’atto rituale i suoi patroni; la seconda parte, legata alla prima, si completa con l’atto (o cerimonia) del ricordo; la terza presenta un formulario di augurio di buona navigazione. Nel II sec. d.C., in età imperiale, Publio Anicio Niceforo, “compiuti gli atti rituali, chiede al dio della grotta che protegga i suoi patroni, ma soprattutto conceda una buona, fortunata navigazione alla nave lungo tutta la rotta, e, in particolare (mi piace pensare) nell’immediato tratto che l’attendeva, quello della traversata del canale d’Otranto, considerato a ragione ancora oggi uno dei più pericolosi del Mediterraneo per gli improvvisi cambi di condizioni atmosferiche” (Pagliara, Eyploia soi).
Torre dell’Orso, una delle iscrizioni latine ai piedi della falesia del versante nord della baia di Torre dell’Orso. Questa iscrizione è eseguita nell’ambito di una tabella incavata su uno spuntone di roccia in crollo, oggi affondato nella sabbia dell’arenile. Il testo iscritto fu letto dal Prof. Cosimo Pagliara e pubblicato nell’ambito del saggio “Santuari Costieri” (ATTI TARANTO, 1990, tav. XXVI, 2). L’iscrizione fu graffita da un membro dell’equipaggio della liburna “Hamon” e recita: “Hic mansit dies duo”, ricordando così la sosta di due giorni in quel luogo. In altre iscrizioni il Prof. Pagliara ha riconosciuto la dedica a Giove (Iuppiter Optimus Maximus, come nella Grotta Porcinara a Leuca).L’art. del Prof. André Jacob sulle iscrizioni bizantine della Grotta di S. Cristoforo (2014).
* Ringrazio per la consueta e squisita gentilezza l’amico Prof. Paul Arthur che mi ha fornito il magistrale saggio del caro amico Prof. A. Jacob.
GIUGGIANELLO
Premio Monolite d’Argento
Il 18 Agosto 2007, a Giuggianello (Lecce) il Prof. Cosimo Pagliara riceve il prestigioso Premio “Monolite d’Argento”, istituito dal Centro di Cultura presieduto dal Prof. Vincenzo Ruggeri. Tra i premiati anche il Prof. Francesco D’Andria ed il Prof. Angelo Varola dell’Università del Salento, presentati al pubblico dall’Ing. Gianni Carluccio ed il giornalista della RAI Antonio Caprarica.
Giuggianello, il Masso della Vecchia del quale si fa cenno in un’opera del corpus aristotelico, segnalatami dal Prof. Cosimo Pagliara. Foto copyright Ing. Gianni Carluccio.
Riporto qui di seguito quanto da me scritto nell’ambito del volume Salento Meraviglioso (Ed. del Grifo, 2003): “Dicono che presso il Capo Iapigio vi sia un luogo in cui, così si favoleggia, si svolse la battaglia di Eracle contro i Giganti; da questo luogo si dice scorra un enorme flusso di icore [sangue putrefatto], tale da rendere impossibile, per il gran fetore, la navigazione nel tratto di mare prospiciente il luogo. Dicono anche che in diversi luoghi dell’Italia vi siano numerose memorie di Eracle sulle strade da lui percorse. Ma presso Pandosia in Iapigia si mostrano le impronte dei piedi del dio, sulle quali a nessuno è lecito camminare”; ancora: “Presso il Capo Iapigio vi è anche una pietra enorme, che dicono venne da lui [Eracle] sollevata e spostata, addirittura con un solo dito”.
Questo testo pervenutoci nel Corpus aristotelico (De Mirabilibus Auscultationibus – “Racconti meravigliosi” – che riportiamo nella traduzione del Lombardo) è importante in relazione all’identificazione dei luoghi fatta da vari studiosi a cominciare dal Galateo (1558) che fa riferimento per il gran fetore proprio alle acque sulfuree di S. Cesarea Terme.
Si prosegue poi con il De Simone (1867) che, su segnalazione del Maggiulli, identifica la “pietra enorme che venne spostata con un solo dito” con il “fuso della Vecchia” (singolare attrattiva per storici e naturalisti, rappresentata dalla zona del cosiddetto “Masso della Vecchia”, nel territorio del Comune di Giuggianello, dove la conformazione naturale di alcuni massi di calcare è all’origine del passo aristotelico) e continua più recentemente con il prof. Cosimo Pagliara che, nel corso di un sopralluogo effettuato in mia compagnia, ha riconosciuto in un masso a forma di piede, nei pressi del “fuso della Vecchia”, una delle impronte dei piedi del dio e poi ancora con Nicola De Paulis che in un articolo su “Scienza & Vita” (1988), ha voluto vedere un’altra impronta del piede di Ercole sulla sommità del cosiddetto “letto della Vecchia”.
Il prof. Pagliara mi faceva notare, inoltre, che Pandosia, non potendo essere identificata con la vicina città messapica di Vaste, di cui si conosce il nome antico (“Basta”), era da identificare probabilmente con l’altra città messapica situata nelle immediate vicinanze e cioè Muro Leccese.
Il cosiddetto “Piede di Ercole”. Ricordo che, nel corso di un sopralluogo effettuato in mia compagnia e con i Proff. Giuliano Cremonesi e Francesco D’Andria (primavera 1983), il Prof. Cosimo Pagliara ha riconosciuto in questo masso a forma di piede, che si trova a pochi passi di distanza dal “Masso della Vecchia”, una delle impronte dei piedi di Ercole. Foto copyright Ing. Gianni Carluccio
ROCA VECCHIA
Non è facile condensare in poche righe quella splendida realtà rappresentata dall’area archeologica di Roca sulla quale è stato scritto tanto. Lascio allora il campo agli specialisti con una magistrale sintesi ad opera dei Proff. Cosimo Pagliara, Riccardo Guglielmino e Teodoro Scarano, pubblicata sullo splendido e consigliabile volume “Ambra per Agamennone”, pubblicato da ADDA Editore in occasione dell’omonima Mostra allestita a Bari nel 2010.
Il villaggio medioevale di Roca fu edificato intorno al 1350 da Gualtiero VI di Brienne; nel 1480-81 fu attaccato dai Turchi e successivamente divenne un covo di pirati per cui nel 1544 venne volutamente fatto radere al suolo da Ferrante Loffredo e qualche anno dopo, nel 1585, fu edificato, a pochi chilometri di distanza, un complesso fortificato, oggi noto come Roca Nuova. All’interno della Torre, nel piccolo vano che ospitava il carcere, vi sono numerosi graffiti ed anche un bel dipinto. Foto copyright Ing. Gianni Carluccio.
Giornate di Primavera del F.A.I., 21-22 Marzo 2004. Visita all’Area Archeologica.
Il Convegno “Roca nel Mediterraneo. L’età delle prime navigazioni commerciali”. Castello di Acaya, 6 Luglio 2013.
L’atteso momento della Conferenza del Prof. Cosimo Pagliara nell’ambito del Convegno “Roca nel Mediterraneo, l’età delle prime navigazioni commerciali”, tenutosi presso il Castello di Acaya il 6 Luglio 2013. Sulla sinistra uno dei suoi allievi prediletti, Dott. Luigi Coluccia, curatore per conto dell’Università del Salento dell’affascinante Mostra “Roca nel Mediterraneo”, inaugurata presso lo stesso Castello di Acaya il 26.1.2013 e tuttora visitabile.
Qualche anno prima, sempre ad Acaia…
Acaia 12 Maggio 2009. Il Prof. Cosimo Pagliara guarda l’orario perché abbiamo appena sentito (e registrato con il mio telefonino, purtroppo allora di scarsa qualità…) il canto di un assiolo, nel corso di una passeggiata dopo-cena nei pressi del Castello. Ricordo che quella sera ci fermammo presso il Ristorante Nonno Pici ad Acaia, in quanto era stata rinviata la Conferenza “Una passeggiata lungo la baia di Torre dell’Orso – Segni delle testimonianze antiche e tardo ellenistiche”, che Mimmo doveva tenere per conto dell’Associazione “Leoni di Messapia” (mancava il videoproiettore!). Il Prof. era molto contrariato per questo imprevisto, ma io riuscii comunque a distrarlo ed a farlo sorridere, per cui decidemmo di trascorrere la serata a cena, e che cena! Come ricorderanno Lorenzo Capone, Maurizio Nocera, Francesco Pasca e Salvatore Sciurti, che erano assieme a me al tavolo con il Prof., Mimmo ci raccontò un sacco di “cose archeologiche” molto interessanti, parlandoci, tra l’altro, anche di alcuni importanti graffiti scoperti in una baia dell’Albania, di fronte alla nostra costa e dell’origine del nome Poesia, dal greco “Posia”, che indica la bevuta.
GROTTA DELLA POESIA
* Per le immagini che seguono, fatte all’interno della Grotta della Poesia, ringrazio l’amico Prof. Riccardo Guglielmino che mi ha permesso i preziosi scatti. Tutte le foto sono coperte da copyright.
Ed ora una serie di immagini con iscrizioni in messapico e latino.
* Ricordo che alla metà degli anni ’80 l’amico Mimmo mi invitò ad andare con lui presso l’Hotel Tiziano di Lecce, dove c’era una dimostrazione del programma Photoshop, utile per scindere i vari scritti, eludendo le sovrapposizioni.
Il Prof. Cosimo Pagliara, all’interno del suo laboratorio presso l’Università del Salento, indica alcune iscrizioni presenti sulle pareti della Grotta della Poesia, riprodotte su di un calco e quindi rese più visibili (foto copyright Ing. Gianni Carluccio, 8 Giugno 2007). Debbo le preziose otto foto che seguono, da me scattate ed elaborate graficamente, alla cortesia dell’amico Prof. Cosimo Pagliara.
Ed ora quattro foto dell’amico Prof. Pierluigi Bolognini, pubblicate nell’ambito di un mio saggio dal titolo “Archeologia e Ambiente” nel Volume “Salento Meraviglioso”, Edizioni del Grifo, Lecce 2003.
* La prima delle foto di Pierluigi Bolognini fu scelta come copertina del Volume degli Atti del Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1990.
Ed ecco il racconto della scoperta che il Prof. Cosimo Pagliara pubblica, nell’ambito del suo saggio dal titolo: “La Grotta Poesia di Roca (Melendugno – Lecce)”, negli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa 1987.
LE MOSTRE
UNA BREVE RASSEGNA STAMPA
NEL SANTUARIO SOMMERSO
OTRANTO
Nel punto più stretto del canale d’ Otranto, subito a nord di Torre dell’ Orso e dirimpetto all’ isola albanese di Saseno, la stupenda costa rocciosa salentina ci sta rivelando qualche suo segreto. Qui, a partire dal quarto secolo a.C., e forse anche dal sesto, esisteva un insediamento costiero su cui molto più tardi, nel 1353, Gualtieri di Brienne costruì un borgo e un castello dal nome Roca (cioè rocca). Oggi, frammenti architettonici di un periodo dal sesto al quarto secolo a.C. convivono con le rovine della Roca di Gualtieri, occupata dai Turchi nel Quattrocento, scomparsa dalla Storia, riscoperta negli anni Trenta del nostro secolo. E ora viene un dato stimolante: dal quarto secolo a oggi il mare nel canale d’ Otranto si è alzato di cinque metri, sicché antichissime sedi di attracco per le navi e di sosta, villaggi e santuari votivi pagani sono o crollati o finiti sott’ acqua. Non si conosce tutto quello che il mare nasconde, ma si sa che nasconde molte cose preziose, che possono stimolare l’ umana immaginazione. Uno pensa: chissà, forse sotto il livello del mare esiste una grotta più grande della grotta sopraelevata di S. Cristoforo a Torre dell’ Orso, dove tra i resti di iscrizioni pagane si trova quella di un navigante del terzo secolo d.C. che chiede al dio protezione per l’ attraversamento del canale d’ Otranto. Ebbene, come è noto, la realtà può aggredire la nostra immaginazione vincendola di molte misure. Ecco che esiste una grotta nell’ area di Roca, a cui pericolosamente si accede da una fessura tra le rocce, procedendo in barca per cunicoli, a schiena curva, nelle sole ore di bassa marea: chiamata stranamente la grotta della Poesia o grotta Poesia. Un giorno, il direttore dell’ Istituto di archeologia classica dell’ Università di Lecce, professor Cosimo Pagliara, tentò con due amici l’ esplorazione del luogo. Penetrato in quella che i tecnici chiamano la fessurazione della roccia, avanzò a bordo di un minuscolo natante lungo un corridoio buio, molto stretto; e d’ un tratto si trovò in una grande cavità. Il fondo della grotta, interamente invaso dalle acque del mare, era in parte coperto da materiale che, nel crollare dalla volta della grotta, aveva prodotto un largo foro da cui penetrava il sole. Era questo l’ inizio di una grande scoperta archeologica, che oggi si può render nota con un certo numero di dati. Cosimo Pagliara intuì subito, guardando le pareti della grotta, di essere di fronte al più importante insieme di iscrizioni antiche del Salento e a qualcosa che doveva essere un famoso santuario. Veniamo all’ oggi. Con la preziosa guida di Pagliara e l’ aiuto di recenti strutture di cantiere, sono potuta scendere dal foro della volta per una profondità di dodici metri nel fondo della grotta. E’ molto vasta, il che produce strani effetti di luce riflessa; ha forma ellittica, con l’ asse maggiore di circa settanta metri e il minore di venti. Davanti agli occhi, sulle altissime pareti, sfilano centinaia di segni, di simboli incisi sulla roccia, di iscrizioni: qualcosa di stupefacente, un poco magico, anche dal puro punto di vista dei segni per l’ occhio, prima di qualsiasi interpretazione dei loro significati. Si è da poco costituito presso l’ Università di Lecce un gruppo di lavoro composto da archeologi, geologi, linguisti, storici, chimici, fisici e biologi degli Atenei di Lecce, Bari, Pisa, Tubingen, e qualcosa già comincia a delinearsi: per merito della scoperta di Pagliara, da circa 450 metri quadrati di superficie iscritta affiorano i primi affascinanti messaggi delle antiche civiltà del Salento. Osservando bene le pareti della grotta per un’ altezza di sei, sette metri dal livello dell’ acqua, là dove non c’ è degrado della roccia e non ci sono croste o sali in affioramento o microflora, si è colpiti dalla chiara presenza di almeno tre strati di incisione. Un primo preistorico, costituito da segni molto profondi in forma di figure geometriche ovali o a semicerchio, di disegni assai stilizzati di animali. Un secondo strato di iscrizioni messapiche in alfabeto greco: gli Japigi-Messapi dalla metà del sesto secolo a.C., occupato il territorio corrispondente alle odierne province di Brindisi, Lecce, Taranto, vi costruirono abitati e adottarono per la loro lingua, a noi in buona parte ancora sconosciuta, un alfabeto di tipo greco. Il terzo strato, che si insinua fra i due o si sovrappone agli altri, contiene iscrizioni databili al secondo e primo secolo a.C. ad opera dei Latini, che giunsero lentamente in questa zona nel corso del terzo secolo a.C. e vi portarono il loro alfabeto. Ma perché tutte queste iscrizioni? La loro decifrazione lo chiarisce: in tutte ricorre il nome del dio messapico Thaotor, a cui i fedeli chiedono aiuto contro i pericoli del mare, protezione dai nemici, liberazione dalla schiavitù e promettono in cambio doni vari, animali, vini preziosi, altre bevande, profumi. Dunque, la grotta era un rinomato santuario dedicato al dio messapico Thaotor, che i Latini nelle loro iscrizioni chiamarono con nome più familiare e significativo: Tutor (protettore). Il fantasma di Thaotor ancora vaga nel suo santuario, tornato alla luce dopo oltre venti secoli; chi scende nella grotta ha l’ impressione di sentirne la presenza. Questa grotta risulta un tesoro anche per i linguisti; forse l’ accostamento di iscrizioni omogenee e affini in lingua messapica e latina permetterà di fare dei passi avanti nella conoscenza della alquanto misteriosa lingua messapica. Ma perché la tradizione conferì a questo santuario sommerso, divenuto grotta marina, il bel nome di grotta della Poesia? E’ ancora l’ archeologo Pagliara a soddisfare la nostra curiosità. Il vocabolo poesia è, nel caso, lectio facilior, cioè una resa in forma comprensibile nelle parlate romanze del termine grico (cioè greco-salentino) Posìa, che significa bevuta d’ acqua dolce; sicché grotta Posìa voleva dire grotta della sorgente, luogo dove si trovava acqua da bere. E difatti pare che ancora oggi si trovi all’ interno della grotta una sorgente d’ acqua dolce della falda superficiale. Del resto, aggiungiamo noi, non c’ è forse una segreta parentela semantica fra la nozione di poesia e quella di sorgente? Non fu lo zoccolo del cavallo Pegaso a percuotere le falde dell’ Elicona e generare così la Fonte delle Muse, cioè la sorgente della poesia? Esiodo insegna al proposito tante cose a coloro che amano la poesia. L’ ispezione alla grotta del dio Thaotor dà da pensare, anche ai non specialisti. In primo luogo si riflette sul fatto che il Salento è, come scrisse Pagliara, la nuova frontiera della archeologia della Puglia, il luogo dove va recuperata la fisionomia della civiltà messapica, così ricca sul piano economico e artistico, ponte fra l’ Italia e le aree balcaniche. In secondo luogo, la grotta della Poesia prova ancora una volta la sconfinata produttività del passato: quando ricompaiono gli oggetti del passato (metti un santuario), il più delle volte ricompare il pensiero che li ha prodotti, quegli oggetti; e col pensiero, il desiderio e la speranza degli uomini. E, perché no? anche il loro dio Thaotor.
COMMENTI
michele il 15 ottobre 2015 alle 22:26 scrive:
Grazie Gianni per questi bellissimi ricordi del prof.Pagliara!!!
G. Carluccio il 16 ottobre 2015 alle 10:14 scrive:
Grazie caro Michele e complimenti per la preziosa attività che tu e Marcello portate avanti così bene per ITALIA NOSTRA.
Un abbraccio, Gianni
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