A Ida
Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus
(Roma 23.9.63 a.C. – Nola 19.8.14 d.C.)
* Questo ritratto appartiene alla tipologia delle raffigurazioni dei generali romani di II-I sec. a.C.
* Questo ritratto che raffigura Augusto maturo con corona aurea, composta da foglie di quercia in lamina d’oro e pietre preziose, potrebbe essere stato creato in concomitanza con il triplice trionfo celebrato nel 29 a.C.
* Questa statua esprime con un linguaggio classicistico, tipico degli anni del regno di Augusto (27 a.C. – 14 d.C.), la pietas del principe nei confronti degli dei e il suo rispetto nei confronti della tradizione.
In occasione della ricorrenza del bimillenario della morte di Augusto, che ricorre quest’anno, mi fa piacere pubblicare alcune immagini e documenti del mio Archivio. Grazie ad una preziosa pubblicazione del 1937 di Giuseppe Gabrieli, avuta in regalo da mio nonno Comm. Realino Schipa, potremo risalire ai giorni della presenza di Ottaviano Augusto a Lecce, nella primavera del 44 a.C. ed affermare con Giuseppe Gabrieli che “Il fondatore del primo Impero iniziò la sua marcia da Lecce”!
Ing. Gianni Carluccio
* Tutte le immagini, ove non diversamente specificato, appartengono all’Archivio dell’Ing. Gianni Carluccio e ne è vietato l’utilizzo senza il consenso dell’Autore.
AUGUSTO (63 a.C. – 14 d.C.)
Ottaviano Augusto nasce nel 63 a.C. a Roma da Gaio Ottavio e Azia, nipote di Cesare. Nel 44 a.C., dopo l’assassinio di Giulio Cesare, rivendica i diritti di figlio adottivo e di erede; l’anno successivo, dopo aver battuto Marco Antonio, fa parte di un triumvirato con lo stesso Marco Antonio e con Lepido, spartendosi di fatto l’Impero (a lui toccò l’Occidente). Nel 42 a.C. vince a Filippi (in Macedonia) le truppe degli uccisori di Cesare (Bruto e Cassio) e finalmente nel 31 a.C. ad Azio (in Grecia) sconfigge Marco Antonio e Cleopatra e diventa Console. Nel 27 a.C. assume il titolo di Augusto (cioè “eccelso”) e la denominazione diImperator, presentandosi al Senato come salvatore della patria e al popolo romano come un “novello Romolo”, rifondatore della città. Nel suo programma di governo assunse grande importanza il ritorno alle origini e ai valori morali e religiosi degli avi; ne conseguì un recupero delle più antiche cariche sacerdotali, con l’esaltazione dei miti relativi alla nascita di Roma. Nel 12 a.C. diviene anche il capo religioso assumendo il titolo di pontefice massimo e nel 2 a.C. diviene pater patriae. Morirà a Nola nel 14 d.C. (G.C.).
La lorica era la corazza in cuoio, con applicazioni metalliche, dei soldati romani) rinvenuta nella Villa della moglie Livia Drusilla a Prima Porta, presso ROMA, il 20 Aprile 1863 (Musei Vaticani). La statua, di Età Tiberiana, è in marmo bianco ed è alta cm 229,5 (senza base, cm 217); in basso a sin. si nota un amorino con delfino (forse aggiunti dal copista, rispetto al modello originale, che dovrebbe risalire all’8 a.C..
* Già allora si sottolineava l’importanza di questo monumento ed il rammarico per la mancata sistemazione urbanistica dell’aerea circostante…
La Gemma Augustea, un cammeo in rilievo su due strati (cm 23×19), è conservata presso il Kunsthistorisches Museum (Museo storico-artistico) di Vienna. La Gemma fu probabilmente creata in occasione del trionfo tributato nel 12 d.C. a Tiberio, erede di Augusto, e futuro imperatore.
Nella parte superiore del cammeo, la figura seduta sul trono rappresenta l’imperatore Augusto incoronato con la “corona civica” di foglie di quercia, usata per lodare chi avesse salvato la vita ad un cittadino romano. Le figure alla destra dell’imperatore rappresentano il regno dell’acqua e della terra, mentre la figura posta sotto Augusto è l’aquila di Giove. Seduta accanto all’imperatore sta la dea Roma, che indossa un elmo sulla testa e tiene nella mano destra una lancia (alcuni ritengono possa rappresentare Livia Drusilla, moglie dell’imperatore e madre del suo successore, Tiberio); tra Augusto e Roma il simbolo dello Capricorno, caro allo stesso imperatore. A fianco alla dea Roma troviamo un giovane in uniforme militare, identificabile con Germanico, il nipote prediletto di Augusto; al suo fianco un carro trionfale, guidato dalla dea della Vittoria, sul quale troviamo Tiberio.
Le figure rappresentate nella parte inferiore della gemma potrebbero rappresentare i popoli sottomessi dei Pannoni, dei Dalmati e dei Germani; alle loro spalle dei soldati romani stanno montando un trofeo di guerra con le spoglie dei nemici battuti. Altre raffigurazioni potrebbero riguardare Marte, Diana e Mercurio.
Una copia bronzea dell’Augusto di Prima Porta era stata posta nel 1933 lungo l’attuale Via dei Fori Imperiali; inoltre negli anni seguenti il Governatorato di Roma concesse in dono esemplari dell’Augusto di Prima Porta a varie città italiane, tra le quali Torino, Aosta, Susa, Pola, Pavia, Bologna, Ravenna, Napoli, Nola e Brindisi. Copie della stessa statua furono poste nelle scuole dedicate all’antico “fondatore dell’impero”, impiantando icone augustee nell’intera penisola. In parallelo, decine di vie, nella capitale come nelle grandi città e paesi, furono intestate ad “Augusto imperatore”.
Nella valva anteriore della corazza di Augusto si distinguono più scene, su tre livelli. In alto vi è raffigurata un’allegoria celeste, con al centro una figura barbata che sostiene un panneggio rappresentante la volta celeste. Nella figura sul carro, a sinistra, si riconosce il Sole, mentre nelle figure sulla destra l’Aurora ed il Tramonto. Al centro vi è il ricordo figurato di un fatto storico con ai lati due figure sedute, che rappresentano due Province romane (forse trasposte dalla valva posteriore della originale raffigurazione in bronzo); al centro la riconsegna delle insegne romane da un rappresentante dei Parti (forse Mitridate, nel 20 a.C.) alla dea Roma (o allo stesso Augusto o a Tiberio, tra le tante interpretazioni). Questa scena storica centrale travalica la sfera dell’umano per assurgere ad un valore più alto; infatti più in basso ai lati sono rappresentate due divinità, a sinistra Apollo su un grifo ed a destra Diana su un cervo. In basso vi è raffigurata un’allegoria della maternità con l’Oikoumene sdraiata (rappresenta il mondo conosciuto), con vicino forse i due figli e con la presenza significativa di vari prodotti agricoli. In questa rappresentazione ci sarebbe quindi anche un chiaro riferimento all’opera di Augusto a favore dell’agricoltura. Per concludere, sui due spallacci della corazza, sono rappresentate due sfingi, forse a protezione del sepolcro di Augusto; infatti la statua originale in bronzo era di dimensioni maggiori rispetto a quella in marmo rinvenuta nella Villa di Livia ed era collocata probabilmente sulla sommità del Mausoleo di Augusto. Detta statua fu eretta prima della morte di Augusto o subito dopo, quando divenne ufficialmente, anche a Roma, una divinità.
Nel Bimillenario di Augusto. “Il fondatore del primo Impero iniziò la sua marcia da Lecce”. Studio di Giuseppe Gabrieli. Stab. d’Arti Grafiche Gius. Laterza & figli – Bari Novembre 1937 – XVI. Copia n. 115/200 copie numerate fuori commercio. Edito dall’Amministrazione Provinciale di Terra d’Otranto con Presentazione di Ernesto Alvino. Il Volumetto si compone di 22 pagine e, nella parte finale, contiene un capitoletto dal titolo: “Segni della romanità di Lecce” con 7 tavole fotografiche ed un rilievo dell’Anfiteatro Romano di Lecce di G. Mantovano (Marzo 1906), tratto dalla “Lecce sotterranea” di Cosimo De Giorgi (Stab. Tip. Giurdignano, Lecce 1907), elaborato per quanto riguarda i caratteri grafici (G.C.).
L’Orientalista Prof. Giuseppe Gabrieli, nato a Calimera (Lecce) nel 1872, ha vissuto sempre a Roma, dove fu Bibliotecario e poi Segretario della Reale Accademia dei Lincei. Suo figlio Francesco, tra i più insigni arabisti italiani, fu docente nelle Università di Palermo, Napoli (Orientale) e Roma (La Sapienza), divenne inoltre Presidente dell’Accademia dei Lincei di Roma, dove era anche fisicamente nato!
* Ringrazio l’amico Editore Dott. Lorenzo Capone per avermi fornito l’immagine di Giuseppe Gabrieli, tratta da una pregevole pubblicazione che ha voluto regalarmi e per le preziose immagini di Apollonia.
Nel suo studio Giuseppe Gabrieli prende in considerazione le uniche due fonti riguardanti la sosta di Ottavio (il futuro Ottaviano Augusto) a Lecce, tra fine marzo e primi di Aprile del 44 a.C.: Appiano Alessandrino, fonte più conosciuta e quella meno nota di Nicola di Damasco, contemporaneo di Augusto, che il Gabrieli traduce per la prima volta in Italiano e che qui di seguito riportiamo.
«II giovane Cesare (cioè Ottavio), dopo aver passato tre mesi a Roma, se ne venne in seguito a soggiornare qui (cioè in Apollonia), ricercato dai coetanei ed amici, ammirato da tutti nella città, lodato dai precettori. Nel quarto mese (cioè nel marzo) arriva (ivi) dalla patria un liberto, mandato a lui dalla madre, sconvolto e molto disanimato, portando una lettera, nella quale era scritto come Cesare fosse stato ucciso nel Senato dai congiurati con Cassio e Bruto. Esortava ella il figlio a tornarsene da lei, dicendo di ignorare anche essa quel che sarebbe seguito da ciò: dover egli essere ormai uomo, sia nel pensare come si conviene, sia nell’agire, conforme alla sorte ed alle favorevoli circostanze. Questo dichiarava la lettera della madre; e simiglianti notizie riferiva (per suo conto) il messaggero, aggiungendo che, subito dopo la uccisione di Cesare, egli era stato spedito (in Apollonia), e non si era indugiato in nessun luogo, affinché, più presto informato dell’accaduto, (il giovane) potesse deliberarvi sopra; grande essere il pericolo per i congiunti dell’ucciso, da cui bisognava innanzi tutto provvedere a sfuggire; non piccolo essere il numero degli uccisori, i quali divisavano di assalire e toglier di mezzo i partigiani di Cesare. Molto si turbarono (Ottavio e i suoi), ricevendo queste notizie proprio mentre stavano per andare a cena. Subito la voce ne corse fuori e si sparse per tutta la città, non chiara e precisa, ma solo di una grande sciagura che fosse accaduta. Si raccolsero allora molti dei primari cittadini d’Apollonia con torce accese, per informarsi con interessamento di ciò ch’era stato annunziato.
Mentre Ottavio teneva consiglio con i suoi, parve doveroso di comunicare la notizia ai più ragguardevoli cittadini, e di rimandar via la moltitudine. Ciò fatto, a stento il popolo, persuaso dai primari cittadini, si sciolse: e (così) Ottavio ebbe agio di consultarsi su tutto, essendo già la notte molto avanzata, su ciò che bisognava fare, e come trarre profitto degli eventi. Dopo molto riflettere, alcuni degli amici consigliavano di ritirarsi presso l’esercito che, al comando di Marco Acilio, stanziava in Macedonia in attesa di muovere alla guerra Partica, e con esso per propria sicurezza marciare su Roma a far vendetta degli uccisori; le milizie, per affetto verso di lui, avrebbero condiviso il cruccio (contro gli assassini), ed il compianto dell’esercito sarebbe cresciuto, quando avessero visto il giovanetto. Ma il partito sembrava malagevole per un uomo tanto giovane, e l’impresa troppo grande per la sua età ed inesperienza: tanto più che non era ancora chiara la disposizione d’animo del popolo, e molti erano i nemici. Non prevalse dunque questo partito, in attesa che si profferissero a vendicar Cesare (tutti) quelli che, lui vivo, avevan goduto della fortuna, elevati da lui ad onori e ricchezza, e che avevan ricevuto sì grandi doni, quali nemmeno in sogno avevan sperati. Suggerendo altri altro partito, come accade in situazioni oscure ed instabili, il meglio parve a Cesare (pel momento) di differire la decisione generale, finché, raggiunti quelli dei suoi amici che erano di maggiore età e senno, li avesse messi a parte del da farsi. Fu dunque pel momento risoluto di starsene tranquillo, e andarsene a Roma, e, appena arrivato in Italia, informarsi di quel che fosse accaduto dopo la fine di Cesare, e su tutto deliberare con quelli là.
Furon fatti dunque i preparativi alla navigazione… Intanto i cittadini d’Apollonia si radunarono, e pregarono Ottavio affettuosamente di restare presso di loro: avrebbero lasciato nelle sue mani la città ad ogni suo disegno, per benevolenza verso di lui e per reverenza verso il morto; meglio sarebbe anche per lui, di fronte a tanti nemici, restarsene in una città amica, in attesa degli eventi. Ma egli, volendo cogliere il momento opportuno con la sua diretta presenza ai fatti, non cambiò deliberazione, e dichiarò di dover far vela. Lodò per allora gli Apolloniati, e quando poi salì al potere concesse loro autonomia e immunità ed altri non piccoli favori, rendendo la loro città una delle più felici. Allora tutto il popolo, in lagrime lo accompagnò alla sua partenza, elogiando il contegno riserbato e saggio da lui tenuto nel suo soggiorno tra essi, ed insieme commiserando il suo caso. Vennero a lui dall’esercito non pochi cavalieri e fanti, tribuni militari e centurioni ed altri molti, alcuni per offerirgli servitù, altre per proprie necessità: lo esortavano a ricorrere alle armi, impegnandosi di militar con lui e persuadere anche altri a muovere a far vendetta della morte di Cesare. Ma egli, pur lodandoli, disse che pel momento nulla si avesse a fare: quando però li avesse chiamati alla riscossa, li esortava a tenersi pronti. Ed essi obbedivano. Imbarcatosi su quelle navi che poté trovar pronte, mentre la stagione era ancor fredda e pericolosa, e traversato il mare Jonio, approdò alla più vicina punta della Calabria, dove nulla ancora si era chiaramente risaputo, fra gli abitanti, del rivolgimento politico di Roma. Sbarcato dunque colà, a piedi s’avviò a Lupie; ivi giunto, v’incontrò alcuni che erano stati presenti in Roma al seppellimento di Cesare; i quali fra altro riferivano com’egli (Ottavio) fosse stato inscritto nel testamento quale figlio di Cesare, ed assegnategli (in eredità) tre porzioni del patrimonio, e la quarta data agli altri (eredi), dalla quale si avesse a distribuire al popolo settantacinque dramme per ciascuno; e come avesse (Cesare) affidato ad Azia, madre del giovanetto, la cura del suo seppellimento, ma la plebe aveva con violenza cremato il suo cadavere nel mezzo stesso del foro, e seppellitolo. Bruto e Cassio con gli altri congiurati avevano intanto occupato il Campidoglio, e lo tenevano, chiamando a libertà gli schiavi a loro alleati: nel primo e secondo giorno, molti s’erano uniti a loro, trovandosi ancora sbigottiti gli amici di Cesare; ma quando i coloni della città vicina, che egli (Cesare) aveva dedotti ed istallati colà, cominciarono ad arrivare in gran numero, dirigendosi verso i seguaci di Lepido comandante della cavalleria, e di Antonio collega di Cesare nel consolato, i quali avevan promesso di vendicar la morte di lui; allora i più (dei congiurati) s’eran dispersi, lasciando soli i cospiratori, che raccoglievano alcuni gladiatori ed altri, implacabili anticesariani e partecipi della congiura. Tutti questi, poco di poi, eran discesi dal Campidoglio, affidati da Antonio, la cui potenza era già grande, e che pel momento differiva la vendetta di Cesare, anzi aveva agevolato ad essi la sicura uscita da Roma e l’andata ad Anzio. Ma le loro case erano State assediate dal popolo: il quale, senza alcun capo ma da sè stesso, esacerbato contro gli uccisori dal suo affetto per Cesare, specialmente quando ne aveva visto la toga insanguinata ed il corpo di recente ucciso portato alla sepoltura, a viva forza aveva voluto seppellirlo nel foro.
Avendo ciò udito il giovane Ottavio si sciolse in lagrime e in compianto per il ricordo e l’amore dell’uomo, e rinnovava il suo cordoglio; chetatosi poi, aspettava altre lettere dalla madre e dagli amici di Roma, pur prestando fede a coloro che avevano riferito i fatti svoltisi colà, nè, evidentemente, avevan ragione d’inventarli o falsarli. Dopo ciò egli salpò per Brindisi, quando seppe che non era ivi alcuno dei nemici; da’ quali sospettando che la città fosse tenuta, prudentemente non vi aveva prima fatto vela dall’altra sponda. Ivi ricevette un’altra lettera, nella quale la madre gli scriveva dell’urgente necessità ch’egli arrivasse a Roma al più presto, e si restituisse a lei ed a tutto il casato, affinché nessuna insidia dal di fuori fosse tramata contro di lui, designato figlio di Cesare. Gli confermava le notizie già a lui pervenute, e come contro Bruto e Cassio e i loro seguaci fosse insorto tutto il popolo, in odio del loro misfatto. Del pari gli scrisse il patrigno Filippo, pregandolo di non accedere all’eredità di Cesare, e guardarsi anche d’assumerne il nome, in considerazione di ciò che egli (Cesare) aveva patito: ma viversene al sicuro senza immischiarsi nei negozi politici. Ottavio, sebbene sapesse che questi suggerimenti gli eran dati per affetto, pensava tutto al contrario, già volgendo nell’animo grandi disegni, pieno di fiducia in sè stesso, disposto ad affrontare in proprio e fatiche e pericoli ed avversione da parte di uomini, cui non sarebbe piaciuto se egli avesse ceduto a chi che sia sì gran nome e primato; tanto più che la Patria era consenziente con lui, e lo chiamava agli onori paterni a ben giusto titolo; giacché, per natura e per legge, gli alti uffici spettavano a lui, che era per nascita il più vicino a (Cesare) e da lui adottato per figlio; ed esser giustissimo sopra tutto ch’egli imprendesse a vendicare chi talmente aveva sofferto. Così egli pensava, e così scriveva e dichiarava a Filippo, pur senza riuscire a persuaderlo gran che. La madre Azia invece si rallegrava, vedendo la gloria della fortuna e la grandezza del potere ricingere suo figlio; ma d’altra parte, consapevole che l’impresa era piena di sgomenti e di pericoli; e considerando quel che aveva patito Cesare il proprio zio, di nuovo non molto vi si abbandonava: era naturale dunque che tenesse la via di mezzo tra il parere dei marito Filippo e quella dei figlio. Ella era perciò in mille preoccupazioni, ora ansiosa, quando contava i pericoli connessi all’aspirazione verso il supremo potere, ora sollevata quando considerava la grandezza del potere e dell’onore; non osava quindi nè distoglierlo dall’imprendere grandi disegni, nè d’altra parte spingervelo, per la oscurità dei destino: consentì tuttavia ch’egli usasse il nome di Cesare, e fu la prima ad approvarlo. Essendosi Cesare informato come la pensassero su ciò tutti gli amici, senza indugio, con buona fortuna e benigno augurio, accetta il nome e l’adozione; il che doveva essere principio di felicità per lui e per il genere umano, specialmente per la Patria e per l’intero popolo di Roma… Affidandosi quindi ai più anziani amici e di maggiore esperienza, egli mosse da Brindisi alla volta di Roma ».
Ho così tradotto, con la maggiore fedeltà, precisione e chiarezza che ho saputo, il lungo passo del Damasceno (capitoli 16-18), tranne qualche breve tratto la cui lezione non mi è parsa sicura, e che certamente si riferiva a cose pensate e fatte da Ottaviano assai più tardi di questo momento, che a noi particolarmente ora interessa. Ho riportato dunque quasi per intero questa narrazione, anche per esemplificare sufficientemente lo stile e la maniera che ha Nicola di aggruppare e raccontare i fatti, con ricchezza e precisione di particolari, con esame diremo psicologico dei personaggi; il che conferma l’impressione, già riferita, ch’egli mettesse a profitto e a base della sua narrazione, particolarmente in questi tre capitoli, le memorie stesse o commentari di Augusto (G.G.).
* Trascrizione a cura dell’Ing. Gianni Carluccio, copyright.
Così continua Giuseppe Gabrieli nel suo studio:
Prima di procedere ad un esame conclusivo, giusto il mio modesto parere, della questione, ritengo opportuno raccogliere e riportare qui, dalle due testimonianze storiche su tradotte, quei pochi e brevi punti che direttamente concernono l’approdo e la sosta di Ottavio in Lecce-Lupiae, e che ora riassumiamo cosi:
— Ottavio, figlio di Azia nipote di Giulio Cesare, il Dittatore, ricevuta in Apollonia dalla madre la notizia dell’uccisione di Cesare, si affretta a imbarcarsi: traversa il mare Jonio dirigendosi non già a Brindisi, delle cui milizie non era sicuro, e dove sospettava qualche possibile insidia contro di lui da parte dei congiurati, ma ad altra più vicina costa, dell’odierna Puglia, donde a piedi raggiunge Lupie; quivi resta qualche giorno, vi raccoglie notizie di quanto era accaduto in Roma dopo la morte dello zio, del suo testamento ed adozione; poi quando vien rassicurato che a Brindisi non vi son pericoli per lui, vi si reca per mare e vi resta in attesa di lettere da Roma, della madre, del patrigno Filippo e degli altri congiunti ed amici; arrivate le quali, pur non concordi nei consigli e nelle esortazioni, egli rompe gl’indugi, ed assume pubblicamente il nome di Cesare, dichiarandosi cosi figlio adottivo ed erede dell’ucciso.
Ecco tutto ciò che, in sentenza, si ritrae dalla narrazione combinata di Appiano e di Nicola Damasceno: anzi si può dire di quest’ultima soltanto, la quale contiene già essa tutto quel poco che sappiamo sull’argomento.
I testi dell’Appiano e del Damasceno sono i soli che direttamente ci interessano, perché solo essi, come notammo, danno notizia della sosta di Ottavio nell’antica Lecce. Essi andrebbero criticamente esaminati, sia in sè stessi, sia in confronto tra loro e con le altre minori testimonianze sincrone o relative ai sincroni fatti (Dione, Svetonio, ecc.); la quale ultima bisogna sarà per noi breve e spicciativa, in considerazione che nessun altro testo antico menziona il particolare della fermata in Lupiae.
La comparazione fra i due testi è presto fatta, considerando ch’essi sono distanziati fra loro di quasi un secolo e mezzo, che il più tardo Appiano non contradice in nulla all’anteriore Nicola, che anzi molto probabilmente lo utilizza qui e lo ha tra le sue fonti insieme con la sua fonte principale nel resto, che sembra essere stato Asinio Pollione lo storico delle guerre civili. Quanto alla « Vita di Cesare » del Damasceno, il quale nel passo che ci riguarda pare utilizzasse, come dicemmo, i Commentari stessi di Augusto, e contiene assai maggior numero di particolari e precisazioni, fra altro alcuni elementi assolutamente unici, non ricorrenti cioè altrove: la discussione delle fonti, delle sue caratteristiche, del suo valore storico, ecc., è stata ampiamente fatta in questi ultimi decenni in una serie di memorie e monografie, specialmente tedesche. II risultato di esse è riassunto nel lungo studio esauriente, per quanto sommario, dedicato a questo autorevole storico e biografo d’Augusto nella « Enciclopedia di Scienza dell’Antichità » del Pauly-Wissowa, a cui devo di necessità rimandare chi ne desideri più particolare notizia.
Io restringerò il mio breve esame sommario a tre punti: cronologico, geografico e storico o realistico; sempre e solo riferendomi alla nostra questione.
(* riteniamo opportuno qui riportare solo il capitolo riguardante il Problema cronologico, N.d.R.).
Problema cronologico.
Sappiamo da tutto l’esame comparativo dei testi storici e biografici più autorevoli, che Ottavio fu mandato da Cesare nel dicembre dell’anno 45 avanti Cristo, per istruirsi e addestrarsi nell’arte della guerra, nella città illirica di Apollonia (presso l’odierna Fieri, nel sito occupato dal convento di Poiani in Albania), insieme con i suoi amici e precettori (M. Agrippa, Salvidieno Rufo, e il rettore Apollodoro di Pergamo); ivi rimase quattro mesi, sino all’annunzio della violenta fine dello zio. Ora la cronologia della sua sosta in Lecce, concordemente riferita da Appiano e da Nicola senza precisazione di tempo, va inquadrata e approssimativamente fissata entro i due punti che ci risultano fissi e sicuri; la morte di Cesare alle idi o 15 di marzo dell’anno 44, e il giorno 18 aprile dell’anno stesso, data dell’arrivo di Ottaviano a Napoli, sulla via del ritorno per Roma (Cicerone infatti scrive ad Attico, XXIV, 10: « Octavius Neapolim venit XIV Kal. », s’intende Maias): in complesso dunque 35 giorni, al massimo, d’intervallo fra le due date sicure.
Volendo ora ripartire questo intervallo e precisarne le tappe, molto approssimativamente com’è possibile e su base di misure vere o verosimili, che potrei anche legittimare e in parte documentare, io calcolo a una diecina di giorni il tempo minimo necessario a un corriere rapidissimo per coprire il percorso Roma-Brindisi e la traversata Brindisi-Apollonia, che richiedeva di solito due o tre giorni; assegno 2-3 giorni alle frettolose consultazioni di Apollonia ed ai preparativi della partenza: altrettanto per la traversata Apollonia-costa calabra, cioè di Puglia; un giorno per lo sbarco e l’avanzata a piedi sino a Lupie, dove Ottavio sarebbe arrivato dunque tra la fine del marzo e i primissimi dell’aprile; fermata di due o tre giorni al massimo in Lupie; ritorno alla costa, partenza per mare ed arrivo a Brindisi fra il 5 e il 10 aprile; partenza da Brindisi fra il 10 e il 15. Entro questi termini cronologici, molto approssimativi — ripeto — ma anche molto verosimili penso si possa collocare tutto ciò ehe sappiamo di certo sul conto di Ottavio tra la morte di Cesare ed il suo arrivo a Napoli.
* trascrizione a cura dell’Ing. Gianni Carluccio.
Ed ora concedetemi questa nota scherzosa… : quasi 2000 anni dopo il commiato di Ottaviano Augusto da Lecce (che avvenne presumibilmente il 2 Aprile del 44 a.C.), nasceva nella stessa città chi scrive (esattamente 1996 anni dopo…) !!! Inoltre ogni giorno, due volte al giorno, ripercorro i passi di Augusto, poichè insegno presso l’I.I.S.S. “E. Fermi” in Via Merine a Lecce, che ricalca nel tratto finale l’antica viabilità, messapica prima e romana dopo, tra Rocavecchia (dove sbarcò e poi si reimbarcò Ottaviano Augusto) e Lecce, come sanno molto bene i miei alunni!
* Per un approfondimento su questa viabilità e sul luogo in cui sbarcò e si reimbarcò Ottaviano Augusto, si veda, in questo stesso sito, il mio art. dal titolo “La viabilità messapica tra Lecce e Rocavecchia” postato il 26 Giugno 2011 (detto articolo, dedicato alle mie figlie Elena e Arianna, fu pubblicato sulla Rivista “Diogene” nell’Ottobre 1997). (G.C.).
ed ora alcune immagini della Lecce romana.
* In questa pubblicazione si sostiene, per la prima volta, grazie soprattutto agli studi dei cari amici Prof. Francesco D’Andria e Prof.ssa Katia Mannino, che i principali monumenti della Lupiae romana: Anfiteatro, Teatro e Foro, siano stati realizzati per volontà dell’imperatore Augusto, benevolente nei confronti della nostra città che lo aveva accolto favorevolmente nel 44 a.C.
Un ultimo importante frammento di statua è stato ritrovato nel Teatro Romano di Lecce da Maria Margherita Manco, allieva della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università del Salento, sotto la guida della Prof.ssa Katia Mannino e del Prof. Francesco D’Andria, autore di un importante articolo comparso sul Nuovo Quotidiano di Puglia, Lecce, Cultura & Spettacoli, p. 31, del 16.4.2014 dal titolo: “La statua ritrovata e la Lecce romana”; si pensa possa trattarsi dell’Imperatore Traiano. Tra l’altro nel febbraio del 1900, durante gli scavi nell’Isola del Governatore (nei pressi dell’Anfiteatro Romano di Lecce), Cosimo De Giorgi ritrovò un frammento di statua romana loricata (alto 86 cm), decorata con un mascherone di Medusa e con due grifi alati che riproduciamo in un’immagine tratta dal lavoro sopracitato di Giuseppe Gabrieli (1937) (vedi foto in alto a sinistra ); la medesima statua fu pubblicata anche da Mario Bernardini, in “Lupiae”, Centro Studi Salentini, Lecce 1959, p.31.
La colonna in granito fu donata dalla Città di Roma alla Città di Lecce e “scoperta” il 27 Settembre 1936. Su detta colonna è scritto: “S.P.Q.R. / A / LECCE / ANNO XIV E.F. / NEL BIMILLENARIO / DI / QUINTO ENNIO”, peraltro con un evidente errore in quanto il bimillenario della nascita di Ennio (Rudiae, 239 a.C.) era caduto nel 1761, mentre il bimillenario della morte (Roma, 69 a.C.) era caduto nel 1831! (Più probabile che il riferimento fosse al Bimillenario della nascita di Augusto, che ricorreva comunque nel 1937, mentre la colonna in ricordo di Ennio fu posta nel 1936…). Comunque ecco due notizie apparse sull’importante rivista Rinascenza Salentina, diretta da Nicola Vacca (Archivio Ing. Gianni Carluccio).
E riprendendo il discorso sulle copie della Statua di Augusto offerte a varie città italiane, mentre Brindisi, dopo aver fatto richiesta al capo del governo già nel 1935, ottenne l’ottima copia bronzea della statua di Prima Porta, Lecce, oltre all’intitolazione di Via Augusto Imperatore, nei pressi dell’Anfiteatro romano, ebbe soltanto, come già detto, una colonna in granito per commemorare Quinto Ennio, nonostante l’appello di Nicola Vacca e del De Simone – Paladini per ottenere una copia della statua (Aprile 1935) e nonostante a Roma ci fosse un certo Achille Starace, salentino!
* L’area archeologica di Rudiae si trova nell’ambito del territorio comunale di Lecce, che si ritrova ad avere, quindi, due Anfiteatri, il più antico di età repubblicana ed il più recente di età augustea.
MUST LECCE, 20.XII.2014. Foto ricordo della serata inaugurale della Mostra: “L’Imperatore torna sulla scena”. Da sin.: Sopr. Luigi La Rocca, Proff. Francesco D’Andria, Grazia Semeraro, Katia Mannino, Dott. Paolo Perrone Sindaco di Lecce, Arch. Nicola Elia, Direttore MUST, Avv. Luigi Coclite Assessore alla Cultura, Proff. Paul Arthur, Mario Lombardo, Dott. Salvatore Bianco, Resp. sede leccese Sopr. Arch. della Puglia, Ing. Gianni Carluccio
COMMENTI
Lorenzo Capone il 27 gennaio 2014 alle 21:45 scrive:
Caro Gianni, sei sempre sorprendente, e di questo, come amico, me ne compiaccio davvero.
Sul tuo sito vedo quanto hai scritto su Augusto: resto a bocca aperta. Lecce, nella quale Ottaviano si ferma qualche giorno prima di riprendere il cammino verso Roma, ne vien fuori come città ospitale, fedele ai cesariani, rispettosa nei confronti di chi era l’erede di Cesare. Sono verità tanto evidenti che emergono non solo leggendo quanto scrivono Appiano Alessandrino e Nicola di Damasco, ma anche quanto ci dicono le testimonianze archeologiche presenti prepotentemente in città, una sorta di ringraziamento da parte dell’Imperatore per l’accoglienza che gli riservarono i cittadini di Lupiae nel momento del bisogno. Segno, quello di Augusto, di grande civiltà: si ricordano sempre i benefattori soprattutto se tali si sono dimostrati in momenti difficili.
Non voglio soffermarmi sulle tante altre considerazioni che pur mi vengono spontaneamente, sarei lungo e noioso: credo, però, che Lecce, anche in questa circostanza, dopo quanto hai fatto per Quinto Ennio e fai per Tito Schipa, abbia un debito di riconoscenza nei tuoi confronti. Mi auguro che le istituzioni, soprattutto, ne prendano atto.
Ad maiora! Lorenzo Capone
G. Carluccio il 27 gennaio 2014 alle 21:49 scrive:
Caro Lorenzo,
questo tuo commento non solo mi riempie di gioia ma mi ha fatto commuovere. Ricevere un consenso così bello e autorevole dall’emblema dell’editoria e del giornalismo televisivo salentino (per me sei stato e resti un mito) mi gratifica anche di tutto il lavoro silenzioso che faccio sul mio sito, lontano dal famoso face-book, dove più di qualcuno mi vorrebbe…
Grazie, grazie caro Lorenzo; sappi che provo per te un grande affetto e che sono sempre orgoglioso di essere tuo amico,
tuo Gianni
Tito Schipa Jr. il 29 gennaio 2014 alle 01:29 scrive:
Come si dice scoop in latino? Bravo cugino, ottimo modo di portare attenzione alla città cui hai già dato tanto. L’hai avvicinata ancora di più alla centralità europea. Siamo fieri di te!
Tito e Adriana
G. Carluccio il 29 gennaio 2014 alle 07:20 scrive:
Grazie Tito, grazie Adriana,
ho appena finito questo importante lavoro, ma credo che a volte non conviene impegnarsi molto; i fatterelli hanno più fortuna… Non aggiungo altro…
Gianni
Enrico Gustapane il 10 febbraio 2014 alle 18:45 scrive:
Caro Gianni,
grazie per la mia Lecce.
Continui a sorprendermi per la tua cultura e la passione per la storia locale, ma anche per la capacità di illustrare con le immagini e con acuta sensibilità editoriale i tuoi scritti.
Non conoscevo la vicenda del transito di Augusto per Lecce, che ho appreso con tutte le altre notizie e immagini della quale hai saputo arricchirla.
A presto
Enrico
G. Carluccio il 10 febbraio 2014 alle 22:14 scrive:
Grazie caro Enrico,
i tuoi complimenti mi inorgogliscono non poco. Ti ringrazio anche per la stima e l’affetto che provengono da una persona di grande cultura e da una “Eccellenza”, quale tu indubbiamente sei!
Tuo, Gianni
Katia Mannino il 21 dicembre 2014 alle 23:52 scrive:
Caro Gianni,
ti ringrazio per le splendide foto che hai realizzato in occasione della serata inaugurale della Mostra. Hai ripreso i momenti più belli e immortalato il nostro “entusiasmo”: sei grande!
Un abbraccio, con tanto affetto e stima
Katia Mannino
G. Carluccio il 21 dicembre 2014 alle 23:53 scrive:
Grazie cara Katia, sei stata molto brava,
ancora complimenti
Gianni
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