a cura di Gianni Carluccio e Ida Blattmann D’Amelj.
In occasione del 1° anniversario del mio sito www.giannicarluccio.it mi fa piacere pubblicare qualcosa su un monumento leccese a me particolarmente caro: La Torre del Parco, fatta edificare dal Principe Giovanni Antonio Orsini del Balzo nel 1419.
Desidero ringraziare quanti hanno voluto lasciare durante quest’anno messaggi di incoraggiamento e quanti si sono voluti complimentare con me, ma soprattutto vorrei ringraziare l’amico Dott. Pompeo Maritati, Presidente dell’Associazione Italo-Ellenica e Vice Presidente del Club UNESCO di Zollino – Grecia Salentina, del quale sono stato Socio-fondatore, senza l’aiuto del quale questo sito non avrebbe visto la luce.
Un motivo di soddisfazione, inoltre, è rappresentato da un messaggio giunto proprio oggi sul sito da parte della direttrice di una rivista di Madrid e pubblicato in coda all’articolo “Pasqua 2012. Auguri Al Bano”, nel quale mi si chiede un’intervista su Al Bano e di poter utilizzare alcune foto del mio articolo. Tra le innumerevoli foto riguardanti sul web l’amico Al Bano, mi fa piacere che l’attenzione si sia soffermata sul mio sito, così come era successo per Carmelo Bene, quando La Gazzetta del Mezzogiorno lo ha recensito, dandogli notevole spazio e risalto e per questo ringrazio ancora il Direttore della Redazione di Lecce, Angelo Sabia e la brava giornalista Gloria Indennitate. Ed a questo proposito ringrazio anche l’amico giornalista Piero Lisi, grazie al quale ho potuto aggiungere una significativa sezione sui rapporti tra Carmelo Bene e le città di Campi Salentina, Otranto e Lecce.
Lecce, 21 Giugno 2012
Ing. Gianni Carluccio
work in progress…
* Foto e testi appartengono all’Archivio dell’Ing. Gianni Carluccio e della Prof.ssa Ida Blattmann D’Amelj e ne è vietata la riproduzione.
LA TORRE DEL PARCO
Le vicende storiche della Torre del Parco cominciano con la sua edificazione nel 1419 ad opera del diciottenne Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Principe di Taranto, figlio di Raimondello e Maria d’Enghien che all’epoca si fregiava dei titoli di Contessa di Lecce e Regina del Regno di Napoli, avendo sposato in seconde nozze Re Ladislao di Durazzo.
Nel 1417 Giovanni Antonio sposa Anna Colonna, nipote di Oddone Colonna eletto Papa , l’11 novembre dello stesso anno, col nome di Martino V; in quel tempo Roma aveva appena 20.000 abitanti mentre Lecce, alla metà del ‘400, ne aveva 6.500!
Nel 1420 la Regina Giovanna II riconosce all’Orsini i privilegi sul Principato di Taranto e Giovanni Antonio acquisisce un potere notevolissimo.
Al 1434 risale il primo documento che lo vede, in qualità di capo del suo tribunale, il Concistorium Principis, pronunziare una sentenza proprio nei pressi della Torre del Parco: « sotto lo jardinello dove è la fontana intro la sala et la camera reale », vani oggi forse ancora riconoscibili, assieme alla fontana, nell’importante complesso edilizio sottostante la spaziosissima terrazza che, tramite un ponte, permette l’accesso alla Torre. Questo complesso edilizio sarà più volte definito “Palazzo Reale” così come “Reale” si definisce il Parco che vi è intorno e che era esteso più di 40 ettari! Dall’Infantino apprendiamo altresì che «in queste habitazioni» Giovanni Antonio «facea battere pubblicamente moneta d’argento e d’oro». Negli anni 1458 e 1461, inoltre, la torre diviene carcere per alcuni prigionieri che incidono le loro ‘lamentazioni’ negli strombi delle saettiere, nel piano inferiore della fortezza.
Torre e Palazzo, dopo la morte di Giovanni Antonio (avvenuta in circostanze misteriose ad Altamura il 13 novembre 1463) furono donati a G. Antonio Muscho, ‘maestro di campo’ di Carlo V e poi furono dimora dei vari Viceré ‘spagnoli’ che si alternarono nel dominio di Lecce: da Ferrante Loffredo a Ferrante Caracciolo, che durante i loro mandati ristrutturano il Parco (molto probabilmente in questi anni si costituisce l’ampia ed elegante terrazza soprastante il ‘palazzo’ e tuttora esistente) e lo abbellirono, sistemando il Viale “Reale” che da Porta San Biagio conduceva all’ingresso del Parco, che venne monumentalizzato nel 1582 con una Porta, sulla quale campeggiavano le insegne imperiali di Filippo II, figlio di Carlo V (tuttora riconoscibili da chi, percorrendo il Viale del Parco, osserva i cosiddetti ‘archi’, a fianco alla Torre).
In quegli anni venne data sempre più importanza alla fiera di San Giacomo che si svolgeva nello spiazzo antistante la Chiesa (tra il “Parco di dentro” ed il “Parco di fuori”) e che alla metà del ‘400 era il più grande mercato d’Italia. La presenza della fiera, che durava ben otto giorni, veniva solennizzata dallo ‘Stendardo Reale’ che veniva issato in cima alla Torre del Parco.
Sappiamo dalle fonti, inoltre, che il 7 settembre 1554, in occasione della grande festa che si svolse a Napoli per il Re Filippo II, anche a Lecce (Viceré Ferrante Loffredo) si svolsero grandi festeggiamenti. Presso il Palazzo del Parco vennero convocati Baroni, Castellani e Sindaci delle due Province pugliesi (Lecce e Bari). Dopo la cerimonia del giuramento ed una affascinante parata militare, venne offerto un “real Banchetto” a tutti i convenuti, che erano più di 400. Finito il pranzo seguì una “Barrera” e per quella settimana ci furono altri giochi e feste.
Per tutto il Seicento continuarono gli splendori della vita nel Palazzo e nel Parco. Nel 1671 il Convento adiacente alla Chiesa di San Giacomo (che sorge sui resti di un’antica Cappella, voluta alla fine del ‘300 da Raimondello Orsini) registra il cambio di titolarità dai Conventuali Riformati agli Alcantarini, che vi rimarranno fino alla fine dell’‘800; tra l’altro nel 1680 si inaugura la nuova Chiesa, che oggi conosciamo meglio con il nome di San Pasquale. Infine, nel 1723, viene terminato l’ultimo braccio del Convento: di esso risulta visibile la parte superiore in una splendida veduta di F. Wenzel, pubblicata nel 1828. In seguito, nel 1901, con la fondazione del Manicomio Provinciale, si distrugge “quel che vi era di antico, fra cui una stanzetta tutta tempestata di conchiglie di S. Giacomo, volgarmente detta Bagno di Maria Giovanna”: quella stanzetta era in realtà un magnifico ninfeo, del quale restano solo deboli tracce.
Dopo la fine della dominazione spagnola (ai primi del ‘700 si registra l’avvento dei Borboni), il complesso della Torre del Parco termina il suo periodo di massimo splendore e comincia una lunga inesorabile decadenza.
Nel 1756 si amplia ancora la strada detta “Reale” che da Porta S. Biagio conduceva al Parco ed al convento dei “Pasqualini”. Al 1762-1763 risale un’iscrizione nello strombo di una saettiera, a piano terra della Torre, in cui è menzionato un diacono di Giuggianello, studente di teologia, probabilmente detenuto nella torre-carcere.
Intanto nel 1774 si ricostruisce Porta S. Biagio ed il 28 aprile 1797 il Re Ferdinando IV, visitando la città, osserva la Torre del Parco dal Convento dei Cappuccini di S. Maria dell’Alto, per poi recarsi alla Chiesa di S. Giacomo.
Il 26 aprile 1819 i Conti Romano acquistano dal Demanio Militare per 296 ducati la Torre del Parco ed il giardino del “Parco di Dentro”, la cui superficie si è ridotta a 11 ettari. Qualche anno dopo procedono ad una risistemazione dell’intero complesso edilizio, realizzando un ingresso monumentale alla Torre (ben visibile in alcune cartoline dei primi del ‘900 e tuttora esistente, ma in posizione molto rimaneggiata), con due portoncini simmetrici all’interno di quello che una volta era il “giardinello” dell’Orsini. Si crea inoltre la scalinata monumentale che conduce alla spaziosissima ed elegante terrazza e quindi alla Torre, sull’ingresso della quale i Conti appongono il loro stemma. Si sistema altresì la facciata posteriore del complesso edilizio a piano terra, rimontando lo stemma di Filippo II (già presente in loco sulla porta d’ingresso al Parco voluta nel 1582 dal Viceré Ferrante Caracciolo) ed a questo si aggiungono quelli degli stessi Romano e dei Santoro, loro parenti (tutto questo è ben documentato da una straordinaria foto di Pietro Barbieri, del 1885 circa).
Nel 1992 la Torre del Parco è venduta dai Conti Romano ed acquistata dal Sig. Roberto Miglietta, amministratore unico dalla società “Clausura”, operante nel settore tessile.
Ing. Gianni Carluccio
Coordinatore Ricerca Storica “Torre del Parco”
* tratto dal pieghevole edito dal F.A.I., Fondo per l’Ambiente Italiano – Delegazione di Lecce, in occasione delle Giornate di primavera del 2006, sotto l’Alto patronato del presidente della Repubblica.
Gli Orsini del Balzo e Maria d’Enghien
La famiglia degli Orsini del Balzo, attraverso le figure di Raimondello, della moglie Maria d’Enghien e del loro figlio Giovanni Antonio, dette vita tra la fine del XIV e la prima metà del XV sec. ad un profondo rinnovamento culturale per la Contea di Lecce che, formatasi già in età normanna, alla fine del XIII sec. era delimitata a nord dalle Contee di Brindisi e di Oria e a sud da quelle di Nardò e di Soleto.
Raimondello, figlio del Conte di Nola Niccolò Orsini, non avendo avuto dal padre l’eredità dei beni della famiglia del Balzo a lui dovuta, occupò a viva forza non solo la Contea ma anche altre terre del padre ed in memoria dell’antenato antepose al suo cognome quello dei del Balzo.
Maria d’Enghien, figlia di Giovanni e nipote di Gualtiero d’Enghien e Isabella di Brienne, ereditò nel 1384 la Contea di Lecce, che il capostipite Ugo di Brienne aveva avuto in feudo da Carlo I d’Angiò.
Il matrimonio, avvenuto subito dopo (sotto gli auspici di Luigi I d’Angiò), tra Raimondello, feudatario ambizioso e desideroso di autonomia, e Maria d’Enghien, “oltremodo bella e da molti gran Principi desiderata per moglie” (Ferrari), segnò un momento decisivo per il futuro di Lecce.
Raimondello subito dopo il matrimonio con la d’Enghien, aggiunse alle sue proprietà la Contea di Lecce ed anche l’importante Principato di Taranto. Questo antico feudo dei del Balzo, riconosciuto all’ Orsini dal Re Ladislao di Durazzo, fu conquistato ‘sul campo’ nel 1399.
La storia degli Orsini si intreccia con la gestione di questo famoso Principato, dominato per lungo tempo dal ramo cadetto dei d’Angiò di Napoli e considerato per la sua estensione (comprendeva la maggior parte della terra d’Otranto fino a Matera e Policoro) uno “stato nello stato”, potente e caratterizzato da spiriti di autonomia.
Raimondello e Maria d’Enghien furono attenti mecenati e raffinati intenditori d’arte. Il gusto e le scelte da loro operate rientravano in un preciso programma di promozione politico – culturale del Salento. I centri del potere si arricchirono di volta in volta di nuovi monumenti: ne sono esempi emblematici il Castello comitale (non più esistente), la Guglia e la Chiesa di Santo Stefano di Soleto, nonché la Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. Quest’ultima fu edificata tra il 1384 ed il 1391, quando Raimondello tornò dalla Terra Santa, carico di reliquie e di icone. Dal Sinai giunse tra l’altro la reliquia del dito della Santa, per la quale il Principe commissionò subito il reliquiario, che poi donò alla chiesa, come atto di devozione
La stagione artistica, che in questo periodo si inaugurò, testimonia una singolare bipolarità culturale vissuta tra un Oriente bizantino ed un Occidente angioino. La politica della famiglia mantenne sempre saldi i riferimenti visivi, quali i diversi monumenti funebri e cenotafi distribuiti in tutto il regno, i ritratti ed ancora oggetti di oreficeria e stemmi, ovunque presenti anche nel vasellame da mensa. Ne è torse un esempio recente la ciotola a decorazione invetriata policroma, raffigurante un grande leone rampante, simbolo del casato di Maria d’Enghien, rinvenuta insieme ad altri materiali ceramici, datati tra XIV e XV sec., in un silos scavato all’interno del chiostro del Convento del Carmine di Lecce, nell’ambito di indagini archeologiche urbane.
La pagina relativa alle complesse strutture del Castello di Lecce, con le sue torri quadrate, (coeve al periodo in cui ebbero dimora i d’Enghien – Orsini) è ancora da approfondire sulla base delle fonti documentarie e di quanto lasciano intravedere i recenti restauri, le ceramiche dipinte ivi rinvenute e le iscrizioni sui blocchi in pietra leccese, tra le quali spicca il nome di Giovanni Antonio.
Anche la Torre di Belloluogo, già esistente all’inizio del XIV sec., venne abbellita con cicli di affreschi datati tra il 1370 ed il 1385 e probabilmente abitata quando, vedova per la seconda volta, Maria rientrò a Lecce insieme al figlio Giovanni Antonio. Tra l’altro in un documento del 1472 si fa menzione de “La gropta de lo solaczo de lo sing(nu)ri”, ambiente riconoscibile nel cosiddetto “Ninfeo di Belloluogo”.
Da ricordare anche altri numerosi interventi di edilizia religiosa sia all’interno che all’esterno della città: dal Convento dei Domenicani (1388), nei pressi di porta Rudiae, al Convento non più esistente di Santa Maria del Tempio (1432), nell’area dell’attuale Piazza Tito Schipa.
Subito dopo la morte di Raimondello (1406), trovatasi in guerra con il Re Ladislao di Durazzo, Maria fu quasi costretta a sposare il Re per mettere fine alla contesa. Il matrimonio avvenne proprio a Taranto nel 1407: Ladislao riuscì in questo modo a riprendersi il famoso Principato e Maria, d’altro canto, divenne di fatto Regina di Napoli.
La d’Enghien, nel periodo in cui visse a Napoli, piuttosto isolata e osteggiata dalla cognata e futura Regina Giovanna II, riuscì comunque ad influenzare le scelte del Re in favore della sua città suggerendo vari diplomi atti a regolamentarne le istituzioni e le attività commerciali. Alla morte di Ladislao, avvenuta nel 1414, rientrò a Lecce insieme al figlio Giovanni Antonio, che ebbe ufficialmente il potere a partire dal 1420.
Maria continuò a fregiarsi del titolo di Regina, seguendo le iniziative avviate da Raimondello, che aveva istituito nel 1402 il Concistorium Principis(tribunale feudale con giurisdizione civile e criminale), e contribuì in modo notevole al costituirsi di una tradizione giuridico – amministrativa nella periferia salentina; di tutto rilievo risulta il cosiddetto ‘Codice di Maria d’Enghien’, scritto postumo nel 1473. Inoltre, sostenne ed incoraggiò una notevole produzione di manoscritti in volgare, stimolando all’interno della Contea lo scambio culturale di artisti ed intellettuali, provenienti anche da diverse aree geografiche, segno di una mentalità culturalmente aperta.
La stabilità del potere, gestito ‘in loco’, ed una attenta valorizzazione de1 patrimonio culturale della città, trasformarono ben presto Lecce da centro agricolo a piccola capitale di una ‘corte’ di tipo rinascimentale.
Nel clima di rinnovamento edilizio ed artistico, a Lecce venne edificata nel 1419 la Torre del Parco e l’adiacente Palazzo, dimora abituale di Giavanni Antonio che utilizzava anche l’estesissimo Parco ed il vicino Castello di Roca.
La Regina, che al ritorno da Napoli aveva provveduto ad alienare il suo Palazzo comitale, risiedendo alternativamente tra Castello e Torri suburbane, proseguì inoltre nella manutenzione delle mura della città (già oggetto di attenzione da parte del padre) e potenziò anche le strutture del porto di S. Cataldo, in relazione ai rinnovati commerci con Venezia. Alla metà del ‘400, poco prima della morte della d’Enghien, Lecce era la città più grande della Puglia, superiore a Barletta e Trani, grandi città mercantili.
La Regina morì in Lecce nel 1446 e fu tumulata nella originaria chiesa di Santa Croce (oggi non più esistente), retta dai Celestini e situata nelle immediate adiacenze del Castello. Il suo monumentale sepolcro, voluto dal figlio, era ricco di marmi e abbellito dalle grandi statue allegoriche della Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e della Fede, secondo l’iconografia sepolcrale di età rinascimentale. Questo mausoleo fu in seguito traslato nella nuova Chiesa di Santa Croce e una statua della “Reina” fu vista e descritta alla fine del ‘500 dal Ferrari: “…ritratto della Reina d’opra di rilievo coronata ed assisa al soglio reale … e tutto il mausoleo ornato d’alto a basso di scolture, d’oro, e di azzurro oltramarino…”; il Ferrari ricorda fra l’altro anche la celebrazione di esequie sontuosissime da parte di Giovanni Antonio e della definitiva deposizione del corpo imbalsamato di Maria. Nella prima metà del ‘600 ne parlano ancora sia lo Scardino (1607) che l’Infantino (1634): “una statua della detta Reina, e per esser stata anco quivi sepelita, come in effetto hoggi le sue ossa stāno riposte in una cassa dentro la sagrestia di detta Chiesa, sēza curarsi di leggere le scritture”; in seguito il sepolcro fu smembrato e se ne persero le tracce.
Un ulteriore ricordo della Regina fu voluto dal figlio anche nella Basilica di Santa Caterina a Galatina, con la costruzione di un mausoleo, oggi non più esistente, realizzato nei pressi del cenotafio di Raimondello. Nella stessa Basilica, forse, Maria d’Enghien era già riconoscibile in qualcuno degli affreschi.
Giovanni Antonio alla morte della madre potenziò la spinta propulsiva economica di tutta la Terra d’Otranto, creando una polarizzazione intorno ai due centri principali, Lecce e Taranto, ma la prima città registrò una particolare attenzione da parte del principe con la creazione della Curia, della Cancelleria e di un articolato apparato burocratico; il Principe inoltre esercitava le funzioni relative al Concistorium Principis nel Palazzo del Parco, dove era presente anche una zecca.
Stratega di grande intuito e interprete della cultura del suo tempo, l’Orsini seppe circondarsi nella sua corte di artisti ed intellettuali, dando vita ancora una volta ad un fervore artistico che illuminò Lecce e la Contea. Dacommittente esigente richiese ed ottenne opere relative a grandi monumenti (si veda per tutti l’esempio della Torre del Parco, l’ampliamento di Santa Caterina con il coro ottagono ed il completamento della guglia di Soleto, con l’apposizione degli stemmi di famiglia) ma anche codici e testi in volgare, arredi scultorei, opere lignee e di oreficeria: grande fu lo stupore di Ferrante d’Aragona, dopo il suo ingresso trionfale a Lecce, nell’ammirare il favoloso tesoro (minuziosamente descritto dal Ferrari), accumulato dell’Orsini nel Castello di Lecce.
La creazione tuttavia di un modello politico autonomo nei confronti della dinastia regnante a Napoli, così lungamente ricercato ed elaborato, si interruppe improvvisamente con la morte violenta di Giovanni Antonio, avvenuta ad Altamura nel 1463.
Ida Blattmann D’Amelj.
COMMENTI
Pompeo Maritati il 23 giugno 2012 alle 23:08 scrive:
Caro Gianni, non posso in un’occasione come il primo compleanno di questo sito, non farti gli AUGURI. Il sito è molto bello, non per la parte estetica, bensì per il suo contenuto, frutto del lavoro e della professionalità tua e di tua moglie.
Approfitto per farti anche gli Auguri di Buon Onomastico, visto che tra meno di un’ora sarà il 24 giugno San Giovanni. Un caro saluto anche a Ida.
Pompeo
G. Carluccio il 24 giugno 2012 alle 01:15 scrive:
Grazie caro Pompeo anche per gli auguri graditissimi x questo S. Giovanni che sto trascorrendo allegramente sulla Serra di S. Giovanni nella “mia” Splendida Giuggianello. Il merito del sito é tutto tuo, ancora GRAZIE Gianni
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